Un partigiano morto per un pezzo di pane

Su un lato della baita che ospitò la prima sede museale, è ancora visibile un affresco.
Il soggetto è ispirato alla morte di Aldo Bruno, detto Cusin, fucilato dai nazifascisti proprio su quel prato poiché era tornato indietro per recuperare un tozzo di pane. A raccontare l'episodio a Riccardo è stata una donna che abitava poco distante, testimone oculare dell'accaduto.

Rimasto fortemente colpito dall'evento, nel 1993 Riccardo decide di realizzare un'opera che lo commemori.
Le parole di seguito, sono una trascrizione fedele della descrizione scritta personalmente dall'artista.

Partendo dal presupposto che l’artista non dipinge ciò che l’occhio vede bensì quello che la mente elabora, è indispensabile capire qual'è il senso della ricerca stilistica del pittore. Per fare questo occorre tenere conto che la lettura del contenuto dell’opera deve avvenire considerando che le figure in essa rappresentate non sono concepite seguendo i soliti canoni, ma appartengono allo stile dell’autore. Figure quindi realizzate mediante un assemblaggio di ellissi (il cerchio “lungo”), abbandonano il dettaglio anatomico per sottolineare, in una sintesi estrema, la globalità della scena.

Il contenuto oggettivo è realistico: la morte di un partigiano caduto in B.ta Grossa di Lemma nell’ottobre del ‘44.

La trattazione pittorica, pur tenendo conto della realtà dei fatti, concede spazio alla fantasia creativa e si allontana dal disegno tradizionale per inserire elementi nuovi che stravolgono le leggi della figurazione così come venivano concepite fino a tutto il secolo scorso.

La tecnica

Il dipinto è stato realizzato ad affresco (esecuzione del disegno preparatorio, tecnica dello spolvero e sinopia su intonaco appena applicato al muro, stesura di pigmenti diluiti in acqua che il tempo sottoporrà a “carbonatura”, cioè a reazione chimica di fissaggio del colore mediante assorbimento del medesimo da parte dell’intonaco).

La ricerca stilistica

Il soggetto

La figura del caduto, che campeggia in primo piano, alleggerisce - quasi mitiga - la crudeltà dell’azione avvenuta poco prima (l’uccisione appunto) per assumere le sembianze di un dormiente.

Non vi è sangue a testimoniare la gravità del fatto e non compaiono i lugubri orpelli portatori di morte, come assenti sono le aggressive divise del nemico protagonista dello scempio appena consumato.
A sottolineare il dramma, con la riservatezza che contraddistingue le nostre genti di montagna, ancorché testimone oculare della scena, vi è una figura di madre tesa a proteggere le sue tre figliolette: con una mano attira a sé la più piccola e con l’altro braccio proteso verso il caduto sembra indicare la barbarie posta in essere dalla soldataglia assassina. Vicino alla mano del caduto vi è una pagnotta che la cronaca dei fatti cita come indiretta responsabile della tragedia.

Dall’esterno della scena proviene una lenza con un galleggiante la cui punta è rivolta verso il giovane, la pagnotta è infissa ad un amo da pesca: il tutto simboleggia l’insidia dell’esca, l’agguato della morte.
A sinistra, il perso con i due rami sui quali il pane venne collocato mentre la salma del partigiano non aveva ancora assunto la rigidità della morte.
Su tutta la scena grava il silenzio: non vi è tempo per le vive manifestazioni della natura; il profilo dei monti entra nella trama leggera dello sfondo a cruciverba.

NB: il diagramma enigmistico ormai da un anno rientra nei soggetti realizzati dall’artista e vuole sottolineare l’incertezza e la casualità che accompagnano gli avvenimenti umani. è la vita un gioco? forse in alcuni momenti sì, ma anche il gioco può celare delle difficoltà e nascondere l’insidia dell’imprevedibile.

Riccardo Assom
Borgata Grossa di Lemma,
1993